La
“Tettoni”
Scheda di Pat - arma fotografata della sua collezione privata.
Un piccolo mistero…
Si rese quindi necessario trovare un
fornitore esterno. All’inizio del XX secolo, un Paese ampiamente accreditato
come produttore ed esportatore di armi di buona qualità era il Belgio, che però
all’epoca si trovava sotto l’occupazione tedesca ed era quindi ovviamente
impossibilitato a sostenere le forze dell’Intesa. Ci si dovette pertanto
rivolgere ad un’altra Nazione,
Gli inglesi si limitarono ad ordinare un
revolver in .455 Webley che altro non era che la versione in calibro albionico
di un’arma da
Il nostro Paese (che alla fine del conflitto si
collocherà al secondo posto nella classifica dei clienti degli spagnoli, pur
rimanendo molto al di sotto degli enormi quantitativi acquistati dai francesi)
richiese invece la fornitura tanto di pistole Ruby che di revolver camerati per
la cartuccia di ordinanza da
Non è chiaro se la ditta bresciana
(che ne ebbe comunque certo un buon tornaconto) abbia agito di propria
iniziativa oppure su sollecitazione del governo. Questa, che costituisce
l’ultima e più moderna rivoltella impiegata dall’Esercito Italiano, non fu mai
considerata arma di ordinanza (anche se in una disposizione ministeriale
dell’ottobre 1916 si parla genericamente di “pistole Smith & Wesson” da
distribuire ai reparti), ma venne importata in quantità abbastanza notevoli,
soprattutto considerando l’ampia disponibilità, all’epoca, di revolver modello
’74 e ’89 ritirati dalla cavalleria. Per cercare di spiegare questo acquisto di
armi relativamente più moderne, certo costose e in numero abbastanza elevato,
sono state formulate diverse teorie. La prima di esse ipotizza la necessità di
dotare un reparto di
élite con un armamento
ad hoc.
Tuttavia, di tale reparto (o anche solo della sua ideazione) non si trova
traccia in alcun testo o documento. La tesi è quindi da scartare. La seconda
ipotizza una sorta di “offerta promozionale” da parte della ditta spagnola, che
avrebbe ceduto sottocosto una certa quantità dei suoi revolver per farli
apprezzare ed ottenere così nuove ordinazioni, stavolta a prezzo di mercato. Ma
quest’ultimo risultò proibitivo e non se ne fece nulla. La terza è che l’arma
fosse destinata ad essere assegnata agli ufficiali, che però la trovarono troppo
grossa e pesante, oltre che più costosa, rispetto alle semiautomatiche in 7,65
Browning che si andavano diffondendo all’epoca. Ci sarebbe anche una quarta
ipotesi, assolutamente non suffragata da alcun riscontro, che però forse
potrebbe sembrare più adatta all’Italia di oggi che a quella di inizio novecento
(sebbene alcuni aspetti poco chiari dell’adozione della Glisenti paiano mettere
in dubbio quest’ultima affermazione …). Certo è che avere degli amici può sempre
tornare utile… :-)
Il revolver somiglia moltissimo (diciamo che
ne è una copia non autorizzata) alle Smith & Wesson “top
break”, con le quali condivide molte caratteristiche: cane rimbalzante,
telaio incernierato, estrattore automatico, funzionamento in singola e doppia
azione. La differenza (fondamentale!) è che nell’arma spagnola il fusto è in un
sol pezzo e, quindi, manca della cartella sul lato sinistro che nella
progenitrice americana consente di accedere agevolmente al meccanismo di scatto
e scomporlo per interventi di riparazione o pulizia. Per questo motivo, l'unica
operazione di smontaggio consentita nel corso della manutenzione ordinaria è la
rimozione del tamburo, che si esegue facilmente, a telaio aperto, svitandolo
(alcuni giri in senso antiorario) mentre si tiene sollevato il chiavistello di
chiusura.
Premesso che storicamente l’arma è senza
dubbio interessante, il giudizio dal punto di vista funzionale fu ed è piuttosto
controverso: in linea di massima si tratta di un buon progetto (non
dimentichiamo che è uno Smith & Wesson), all’epoca più moderno di quello della
sua diretta alternativa nel Regio Esercito, il
modello 1889 Bodeo
(basti pensare al sistema di espulsione più pratico e veloce), ma comunque ormai
trentennale. Benché le due armi abbiano lo stesso calibro (e, sostanzialmente,
la stessa resa balistica), la linea di quella spagnola dà una (falsa)
impressione di maggiore potenza.
Tuttavia, l’impossibilità di
accedere facilmente alla meccanica costituisce una grave penalizzazione. Se si
tiene conto delle condizioni di emergenza imposte dal periodo in cui venne
prodotto, la realizzazione è accettabile. Come già ricordato, all’epoca in
Spagna operavano moltissime piccole officine che inondavano il mercato di armi
di qualità spesso bassa, sovente scadente, a volte pessima. Solo poche grandi
fabbriche facevano eccezione, e
(Cliccare sulla foto per ingrandirla)
Come al solito, iniziamo la carrellata delle
immagini con il lato destro della pistola:
La vista dall’alto evidenzia il sistema di chiusura, affidato a un chiavistello a forma di “T” con due estensioni a contorno circolare che sporgono sui due lati (rendendo di fatto l’arma ambidestra) e sono zigrinate per facilitare la presa.
Dal chiavistello è anche ricavata,
superiormente, una microscopica tacca di mira e, inferiormente, il dente che
trattiene il tamburo.
L’arma è piuttosto avara di scritte. La prima è il nome dell’importatore:
Sulla bindella della canna si trova invece questa dicitura:
In proposito, è bene ricordare che
il termine “MOD.
Sulla faccia sinistra del telaio si trova la matricola. E’ un dato di scarso significato, perché questi revolver venivano consegnati senza matricolazione. Tuttavia, lo stesso numero è ripetuto sulla faccia anteriore del tamburo, a dimostrazione del fatto che, sia pure in un momento successivo, il lavoro è stato fatto con una certa cura:
In molti punti dell’arma si
trovano, variamente combinati fra loro, dei punzoni "G", "G1", "571" e "771",
che corrispondono probabilmente a numeri di lavorazione:
Nell’immagine del tamburo risultano chiaramente visibili, sulla stella dell’estrattore e sul corpo del cilindro, i due “punti” che fanno da riferimento per il rapido rimontaggio del tamburo stesso una volta disassemblato.
Sulla faccia anteriore del tamburo sono impressi i numeri "3"
e "6", corrispondenti al
I numeri 571 e 771 sono anche riportati, a
matita, sulla faccia interna della guancetta sinistra:
Sul lato destro dell’attacco della canna si
trovano le lettere TM in un ovale, corrispondenti al marchio di un ispettore
(Mario Turani):
Sul lato destro del fusto si trova il logo
del produttore:
L’immagine è pessima, ma nell’arma oggetto di questa scheda (e in parecchie altre, forse volutamente) l’incisione è tale che non si riesce a fare di meglio. Il disegno comunque è questo:
Appaiono immediatamente evidenti la scritta “trade mark” e la somiglianza (anzi, la “notevole” somiglianza) con il logo della Smith & Wesson. La cosa non è casuale, ma si inserisce in una politica aziendale all’epoca molto diffusa fra i fabbricanti spagnoli di armi. Questi conoscevano molto bene la pessima fama che accompagnava i loro prodotti e cercavano di mimetizzarsi con nomi, scritte o loghi di assonanza tedesca, francese o americana. Se si tiene conto del fatto che, almeno per quanto riguarda il mercato civile, ci si rivolgeva ad una clientela che comprendeva anche un discreto numero di analfabeti, si comprende come la cosa potesse anche funzionare…
Infine, le guancette:
Sono in bachelite nera, trattenute da un'unica vite passante.
Sulla loro sommità è impresso il marchio della ditta produttrice, giustamente
costituito dalle iniziali della casa spagnola (una “O” e una “H”), ma realizzato
utilizzando gli stessi caratteri impiegati Smith & Wesson; anche in questo caso,
appare evidente l’intenzione di “mimetizzarsi” cercando di dare un'impressione
visiva quanto più possibile vicina a quella della celebre ditta americana, dalla
quale viene ripreso anche il tipico contorno che delimita la parte zigrinata e
il medaglione tondo col monogramma.
Va notato che, stranamente, le guancette non
copiano perfettamente il profilo inferiore dell’impugnatura ma ne lasciano
scoperto un tratto. Una caratteristica che si riscontra, peraltro, anche in
molte armi destinate alla Gran Bretagna. Sul fondo dell’impugnatura si trova
l’anello portacorreggiolo.
Esistono poi delle Tettoni con le guancette
in legno. Non si tratta di armi con parti sostituite, ma di una variante nata
con questa caratteristica, dal momento che i punti di attacco sono diversi e i
due tipi di guancette non sono intercambiabili.
Se ne è parlato nel nostro
meraviglioso Forum, dove si possono trovare tutte le notizie e le immagini su
questo argomento.
Per concludere,
vediamo l’esploso e la tabella dei dati numerici:
Marca: |
Orbea Hermanos |
Modello: |
Tettoni – 1916 |
Calibro: |
10,35 Ordinanza Italiana |
Numero di colpi: |
6 |
Lunghezza canna: |
|
Lunghezza complessiva: |
|
Peso scarica: |
|
Un’ultima curiosità: esiste almeno una Ruby in 7,65 Br prodotta dalla Esperanza y Unceta inequivocabilmente marcata “f. tettoni – brescia”.
Quale sia il suo significato è del tutto sconosciuto.
Questo è l’unico esemplare che abbia mai visto in vita mia (anche solo in fotografia) e ve lo presento come tale. Però… a chi fosse interessato all’argomento suggerisco la lettura di questa scheda.
Bibliografia:
Articoli:
Giuseppe Belogi;
Luciano Salvatici; Orbea Hermanos
alias Tettoni; Diana Armi; 1985; 06; 32
Luciano Salvatici; Una “Tettoni”
automatica; Diana Armi; 1993;11; 48
Sergio Lorvik; Una quasi
ordinanza italiana; Armi Magazine; 2001; 01; 72
Loriano Franceschini; Pistole
spagnole per l’intesa 1915-18; Armi
Magazine; 2003; 11; 126
Nello Ciampitti; Pistola a
rotazione Tettoni modello 1916 – Un’ordinanza dalle origini e dall’adozione
nebulose; Quaderni di Oplologia; 1995; 01; 27
Libri:
Luciano Salvatici – Pistole militari italiane – Regno di Sardegna e Regno
d’Italia – 1814-1940 – Editoriale Olimpia, Firenze, 1985, p. 225-227
Gianrodolfo Rotasso e Maurizio Ruffo –
L’armamento individuale dell’Esercito Italiano dal 1861 al 1943 – SME
Ufficio Storico, Roma, 1997, pag. 92
Gene Gangarosa jr.; Spanish
Handguns; Stoeger Publishing Company,
Siti Internet:
http://exordinanza.yuku.com/topic/1381/Riordinando-le-italiane?page=1