Nagant Mod. 1895

 Scheda di Pat – arma fotografata della sua collezione privata.

“Una soluzione geniale per un problema inesistente”

Sì, lo so. L’ha già detto il Col. Cooper e parlava d’altro. Ma la definizione si adatta perfettamente anche a questo revolver, uno dei più famosi fra quelli realizzati in Europa. Un’arma strana: da una parte, una robustezza e una generale semplicità meccanica a tutta prova, tanto che – secondo l’espressione attribuita ad un veterano della Seconda Guerra Mondiale – “non si guastava mai, e se si guastava la potevi riparare con un martello”; dall’altra, la complessità progettuale, meccanica e soprattutto logistica derivante dalla scelta di realizzare, come è noto, un revolver con il tamburo a tenuta di gas. E perché poi? Per evitare dispersioni di potenza della carica di lancio (quando bastava, anche all’epoca, ricorrere ad armi adatte a sparare cartucce dalle prestazioni più elevate, e “sprecarne” un po’). È vero che per la sua caratteristica peculiare questa Nagant è anche in pratica l’unico revolver al quale si possa applicare efficacemente un silenziatore, ma dubito che nel 1895 questa esigenza fosse molto sentita…

          In ogni caso, probabilmente grazie alla sua rusticità abbinata a buone dosi di precisione, la Nagant è stata utilizzata su larghissima scala dalla fine dell’Ottocento, attraversando una rivoluzione, un paio di guerre mondiali e svariati conflitti minori, sino agli anni Sessanta del Novecento, ed in alcune aree della ex-Unione Sovietica viene tuttora impiegata per alcuni servizi di vigilanza, ad esempio,  pare, da parte della polizia ferroviaria. 

Il Modello 1895 è senza dubbio “la” Nagant, quella più famosa. Ma si tratta del punto di arrivo di una complessa evoluzione, La storia delle Nagant parte da molto più lontano…

Nel 1859, i fratelli Emile e Leon Nagant avevano avviato a Liegi una manifattura di armi che si fece ben presto apprezzare. Nel 1867 ricevettero dal Comitato dei Cattolici Belgi l’ordine di produrre 2000 fucili Chassepot per il successivo invio all’esercito pontificio; in seguito la commessa venne modificata in 5000 armi di tipo Remington Rolling Block, proprio quelle che nel 1870, dopo la conquista di Roma, il Regio Esercito Italiano requisì come preda bellica per distribuirle ai sottufficiali ed ai migliori tiratori dei bersaglieri, ad ulteriore riprova dell’elevato livello esecutivo dei prodotti della giovane azienda belga. Quest’ultima, nel frattempo, non era rimasta con le mani in mano e si era dedicata attivamente anche al settore delle armi corte dove, rielaborando con soluzioni personali i sistemi Lefaucheux prima e Chamelot-Delvigne poi, aveva realizzato delle rivoltelle destinate, fra gli altri, all’esercito olandese ed alla marina russa.

In quegli anni, il Belgio assegnò ad una commissione del Dipartimento della Guerra l’incarico di definire un modello di rivoltella da adottare per gli ufficiali dell’esercito. Tale commissione stabilì in primo luogo che l’arma dovesse utilizzare la stessa munizione già impiegata con successo nelle pistole da gendarmeria a due colpi, sistema Rolling Block, adottate nel 1877 e prodotte proprio dai fratelli Nagant. Venne quindi deciso che i modelli presentati dalle varie ditte intenzionate a partecipare alla gara dovessero essere tutti in calibro 9,4 mm. Tra le varie concorrenti venne scelta l’arma proposta dalla casa belga, che fu adottata come “rivoltella da ufficiali modello 1878” ed entrò in distribuzione l’anno successivo. Terminate le commesse militari, la ditta ne continuò la produzione anche per il mercato civile.

 

 
 

 

 
 

La 1878 è una bella arma che risente molto dell’impostazione dei revolver europei del suo tempo, dei quali riunisce gli elementi migliori, presentando però anche alcune innovazioni che saranno apprezzate e si diffonderanno negli anni successivi. Essendo impostata sullo schema di base dei revolver sistema Chamelot-Delvigne è un’arma massiccia e robusta (come del resto la nostra ’74, derivata dalla stessa progenitrice), ma slanciata ed elegante. La struttura generale è a castello chiuso, con canna avvitata e cartella sinistra mobile per accedere al meccanismo, una soluzione molto comoda ed apprezzata dai militari. A questo proposito, si può far notare come già a partire da questo modello si osservi una caratteristica tipica delle Nagant, nelle quali l’impugnatura è realizzata prolungando fino alla coccia non solo il lato destro del castello, ma anche la piastra di sinistra, alla quale sono fissate sia la guancetta sinistra che una placca intermedia in legno, zigrinata sulle superfici esposte, che ad arma montata si verrà a trovare fra i due “binari” metallici così realizzati. Una soluzione molto robusta, che verrà mantenuta anche in tutti i modelli successivi, fino al 1895. Tutto il sistema di molle è messo in tensione dal ponticello del grilletto, facilitando smontaggio e rimontaggio. La bacchetta di espulsione è alloggiata nell’asse del tamburo, trattenuta da una ghiera che ruota per portarla in posizione di lavoro, proprio come nella nostra ’89. È un sistema ben conosciuto, che però all’epoca era quasi una novità. È già presente lo sportellino di caricamento che caratterizzerà tutte le Nagant, incernierato in basso in modo da ruotare verso l’esterno. Questa soluzione era preferita da alcuni eserciti, rispetto all’apertura all’indietro, perché si temeva che in quest’ultimo caso lo sportellino potesse aprirsi durante l’introduzione dell’arma in fondina. Il meccanismo di sparo è in doppia azione, più moderno di quello del sistema classico Chamelot-Delvigne, ma non ancora a cane rimbalzante. Ogni singolo pezzo della meccanica è marcato con una lettera dell’alfabeto (che permette di seguire senza errori il progressivo ordine di smontaggio e rimontaggio) e da un numero di fabbricazione. La matricola veniva invece impressa all’atto di assegnazione ad un reggimento e cambiata (per sovraimpressione) in caso di trasferimento ad un reggimento diverso.

In Belgio, l’arma rimase in servizio molto a lungo, tanto da essere ancora in dotazione all’inizio della Grande Guerra, affiancata da altri modelli di Nagant adottati successivamente, come la 1883 per sottufficiali e trombettieri di cavalleria ed artiglieria, con tamburo liscio e meccanismo ad azione singola, e la 1878/86, a cane rimbalzante, destinata agli ufficiali. La Nagant in calibro 9,4 mm venne adottata inoltre dall’esercito argentino e da quello brasiliano, anche in calibro .44 (11 mm).

 Verso la metà degli Anni Ottanta dell’Ottocento, la Svezia istituì una commissione militare col compito di scegliere una nuova rivoltella da assegnare a ufficiali e sottufficiali a cavallo. Al termine di una prima serie di prove e selezioni rimasero in gara solo due armi, già adottate anche da altri stati: la 1878/86 belga e la 1882 svizzera. Quest’ultima aveva l’indubbio vantaggio di essere camerata per una munizione con palle veloci e di piccolo calibro (7,5 mm), il che permetteva di realizzare una rivoltella poco ingombrante, leggera e maneggevole, ma al tempo stesso dotata di prestazioni balistiche più che valide, mentre la maggior parte degli eserciti dell’epoca era dotata di armi più pesanti e di calibro maggiore. Tuttavia, agli occhi degli svedesi, il modello elvetico aveva anche due gravi difetti: l’apertura dello sportellino all’indietro (e non poteva essere diversamente, essendo dotata di sistema Abadie), con le relative preoccupazioni per l’inserimento in fondina, e una bacchetta di espulsione più ingombrante e più esposta al rischio di deformazioni in caso di urti accidentali. La commissione risolse i propri dubbi nel modo più semplice: chiese alla ditta Nagant di realizzare una versione del proprio revolver mantenendone immutate le caratteristiche meccaniche, ma adottando il calibro elvetico, in modo da poter usufruire delle stesse doti balistiche e di leggerezza. La casa belga rispose con un prodotto che risultò eccellente, arrivando ad avere dimensioni e pesi vicinissimi a quelli dell’arma svizzera. Dopo un’ulteriore serie di prove che diedero ottimi risultati, l’arma venne definitivamente adottata col nome di “Modello 1887”.

Una volta completata la dotazione ad ufficiali e sottufficiali, la rivoltella 1887 venne distribuita anche ai militari non armati di fucile, come i tamburini e i portainsegne. Inoltre, venne assegnata anche alla Marina. Nel 1897 (quando la casa belga era ormai molto impegnata nella realizzazione del proprio modello a tenuta di gas) la licenza di fabbricazione venne ceduta alla Husqvarna Vapenfabrik, che proseguì la produzione fino al 1905 (o, secondo altre fonti, al 1908) realizzando in totale 13.732 esemplari, ai quali va aggiunto un piccolo lotto destinato alla Norvegia. L’arma rimase in servizio fino al 1945, con parti di ricambio fornite dalla Carl Gustafs. In seguito una parte di questi esemplari fu assegnata ai servizi di sicurezza.

La struttura della rivoltella riproduce fedelmente, in scala ridotta, quella della 1878/86 belga. Le varie parti sono sempre contraddistinte dalle lettere dell’alfabeto che identificano la sequenza di smontaggio/rimontaggio. La testa della bacchetta di espulsione viene modificata, passando da una forma a bottone ad una a cilindro zigrinato. Tutte le parti recano il numero di lavorazione, mentre la matricola dell’esercito è riportata sul lato destro del castello, vicino alla nocca dell’impugnatura, preceduta dalle lettere “L N°”. Gli esemplari assegnati alla marina portano invece una piccola corona davanti al tamburo, sempre sul lato destro. Il revolver è completamente protetto da una brunitura nera, fatta eccezione per il mollone principale (in bianco) e per grilletto, cane, bocciolo, sportellino di caricamento e relativa molla, asse del tamburo, bacchetta e relativa molla, che sono stati sottoposti ad un trattamento termico che ha conferito loro una colorazione che, a seconda dei casi, risulta blu scuro o giallo-bronzo.  Oltre che per le forniture militari, questo modello venne prodotto anche per il mercato civile, in calibro 7,5 e .38. Le Poste svedesi acquistarono dall’Husqvarna 940 rivoltelle prive di marchi militari da destinare all’armamento dei propri dipendenti. (Esiste anche una variante molto rara, detta 1887/93, approvata ma mai adottata formalmente dalla Svezia, che sfruttava un brevetto del 1888 di un ufficiale dell’esercito svedese [il Lt. Tor Törnell] che aveva ideato un sistema di blocco della rotazione del tamburo attraverso una sorta di grilletto sdoppiato. La Nagant ne produsse un migliaio di esemplari per le prove militari, ma la cosa non ebbe seguito.)

 
 
 

La Nagant 1887 svedese (sopra) e la 1893 norvegese (sotto)

 

 
 

Pochi anni dopo, la Nagant in calibro 7,5 mm venne adottata dalla Norvegia. Questa aveva già optato nel 1883 per la rivoltella belga in calibro 9,4 (nella variante in doppia azione scelta anche dalla Danimarca) e dieci anni dopo seguì la Svezia con quella che venne denominata “modello 1893”. Si tratta di un’arma assolutamente identica alla 1887, dalla quale risulterebbe indistinguibile se non fosse per una caratteristica, il mirino, che nelle armi svedesi è rettangolare col bordo anteriore arrotondato, mentre in quelle norvegesi ha un profilo semicircolare con la parte posteriore ribassata. Inoltre, pare che nelle armi destinate alla Norvegia le parti sottoposte a trattamento termico siano esclusivamente di colore blu. La ditta Nagant fornì queste armi alla Norvegia fino al 1898, coprendo quasi interamente il fabbisogno, con un totale di 12.964 esemplari, Dopo tale data, altri 350 pezzi furono prodotti dalla Husqvarna Vapenfabrik e una quantità minima fu realizzata direttamente sul territorio dello stato destinatario dalla fabbrica di Kongsberg. Marchi di produzione, numeri e lettere per lo smontaggio sono identici a quelli del modello svedese. Il marchio di accettazione norvegese si trova a sinistra, davanti al tamburo.

 Un discorso a parte meritano le Nagant prodotte per il Lussemburgo. Lo studio di queste armi, che sarebbe estremamente interessante per comprendere a fondo alcuni aspetti dell’evoluzione cronologica e tecnica dei prodotti della casa di Liegi, è reso estremamente difficile dalla scarsità dei pezzi reperibili, una caratteristica che non deve stupire se si considerano le ridottissime dimensioni del Granducato e la sua scelta di neutralità nella seconda metà dell’Ottocento. Quanti ufficiali poteva contare il suo esercito di allora? E ciò nonostante questo piccolo stato adottò ben tre diversi modelli di Nagant, uno per la gendarmeria e due da ufficiali. La caratteristica più evidente del modello da Gendarmeria è la presenza di una baionetta a sezione cruciforme, lunga complessivamente 13 cm e portata normalmente in un’apposita taschetta della fondina, che veniva fissata sotto la canna attraverso un manicotto, applicato in corrispondenza del mirino, nel quale la baionetta stessa andava inserita. Per il resto, l’arma è molto simile al modello 1878/86 belga, del quale conserva il calibro (9,4 mm) e le caratteristiche principali, differenziandosi solo per il fatto di avere la canna più lunga di 2 cm e un mirino di disegno diverso (due conseguenze della necessità di applicare la baionetta) nonché il tamburo liscio, non scanalato (una particolarità che all’epoca contraddistingueva le armi destinate alla truppa, per differenziarle da quelle da ufficiali; è possibile che anche per questa rivoltella lussemburghese si sia voluta mantenere questa caratteristica distintiva). L’arma è brunita, tranne il mollone (in bianco) e le solite parti trattate termicamente (che appaiono blu o bronzo). Anche il supporto della baionetta è brunito, mentre la lama è lasciata in bianco. Compaiono i soliti numeri di fabbricazione (anche sulla baionetta) e le lettere per lo smontaggio. Il banco di prova è quello di Liegi, non ci sono marchi lussemburghesi.

 

 
 

 

 
 

La seconda Nagant lussemburghese è la rivoltella da ufficiali. Si tratta esattamente della stessa arma descritta più sopra come modello 1887 svedese. Queste rivoltelle venivano acquistate dai (pochi) ufficiali del Granducato con fondi personali e restavano di loro proprietà. Recano solo i marchi del Banco di Prova di Liegi e sono quindi molto difficili (se non impossibili) da distinguere da quelle destinate al mercato civile.

La terza variante è la rivoltella da ufficiali con sicura laterale. Dal momento che, a parte la sicura stessa, l’arma è del tutto identica al secondo modello, si ignora se si tratti di una fornitura successiva o di una modifica di quelle già in servizio. La sicura è costituita da una semplice leva, applicata sull’esterno del lato sinistro del castello senza alcuna modificazione del meccanismo. Quando viene inserita la sicura, un’estremità di tale leva si introduce in una delle camere del tamburo, impedendo la rotazione di quest’ultimo e, di conseguenza, l’armamento del cane. Sembra, ma non è accertato, che un sistema di sicura analogo fosse già installato su un identico modello di rivoltella Nagant in dotazione alle guardie carcerarie del Belgio, per le quali sarebbe stato inventato.

Il problema (accademico), con le rivoltelle lussemburghesi, è che tutte e tre sono indicate in varie fonti, anche dell’epoca o quasi, sia come “modello 1884” che come “modello 1887”. La decisione da parte del Granducato di adottare nuove rivoltelle per la gendarmeria e gli ufficiali risale anzi al 20 giugno 1883, ma l’adozione formale può essere slittata all’anno successivo. La differenza fra le due diciture è solo di pochi anni, ma qualora fosse valida quella del 1884, queste rivoltelle sarebbero le prime Nagant in 7,5 mm, antecedenti a quelle svedesi. È possibile, anche se non dimostrato dalla documentazione disponibile, che l’ordine sia stato inviato nel 1884 alla ditta di Liegi, che però, essendo molto impegnata con le forniture all’esercito belga, all’epoca lo accantonò a causa dell’esiguo numero di pezzi richiesti, che non giustificava l’impiego di elevate energie aziendali per delle produzioni così particolari. Tre anni dopo, invece, questi problemi furono ampiamente superati, dato che il modello da ufficiali era identico al 1887 svedese, allora in piena produzione, mentre quello da gendarmeria si poteva ottenere agevolmente montando sulla 1878/86 belga da ufficiali il tamburo liscio della 1883 da truppa. Resta però da chiarire se per i modelli adottati dal Granducato nel 1883/84 fossero già previste tutte le caratteristiche di quelli consegnati nel 1887 (nel qual caso sarebbero stati i precursori delle nuove Nagant) o se invece le innovazioni (cane rimbalzante e calibro 7,5 mm) siano state inserite in seguito ed accettate dal Lussemburgo. 

L’ultima Nagant di concezione tradizionale, prima dell’avvento di quella a tenuta di gas, fu il modello 1891 realizzato per la Serbia, che la ordinò per uniformare il proprio armamento, all’epoca piuttosto eterogeneo, e per distribuirla anche agli ufficiali, che sino ad allora avevano dovuto acquistare l’arma a proprie spese e, di conseguenza, avevano potuto scegliere qualsiasi marca e modello in base alle preferenze individuali. La commissione incaricata di selezionare la nuova arma optò per il revolver presentato dalla Nagant, assolutamente identico al 1887 svedese fatta eccezione per due novità: un sistema che a grilletto rilasciato determinava l’arresto del tamburo (che in tutti i modelli precedenti era invece libero di ruotare nei due sensi sul proprio asse) ed una sicura che a sportellino di caricamento aperto bloccava il cane e il grilletto. Entrambe queste soluzioni meccaniche erano oggetto di un brevetto dei fratelli Emile e Leon Nagant. La rivoltella venne adottata ufficialmente l’8 luglio del 1891 e la produzione iniziò nel 1892, per un ordine complessivo di circa 12.000 esemplari, completato nell’arco di diversi anni.  Come al solito, il revolver è brunito, la molla principale è in bianco e le parti trattate termicamente sono blu. Sempre gli stessi anche i numeri di lavorazione, le lettere per lo smontaggio e i punzoni del Banco di Liegi. La Serbia apponeva invece una scritta in cirillico che attestava la proprietà statale e militare e un punzone di controllo. La Nagant 1891 rimase in servizio nell’esercito serbo fino al 1945, quando venne sostituita dalla 1895 e dalla Tokarev sovietiche. 

Siamo così giunti, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, al termine e al culmine della parabola delle Nagant “tradizionali”. La ditta è ormai una realtà consolidata, solidamente affermata tanto sul mercato civile quanto – e soprattutto – in quello delle commesse militari e le sue rivoltelle sono il tipico prodotto dell’industria armiera europea dell’epoca. Proprio per questo, il passaggio successivo sarà rappresentato da un tentativo di innovazione, con lo studio, la realizzazione e la commercializzazione del famoso modello 1895 a tenuta di gas. Ma a questo punto dobbiamo fare un passo indietro.

Nell’ultimo terzo dell’Ottocento alcuni si erano convinti che la perdita dei gas di sparo che si verifica in corrispondenza dello spazio che separa la canna dalle camere del tamburo fosse un problema. L’idea originaria sembra risalire addirittura al 1818, quando l'americano Elisha H. Collier  progettò la prima arma a tamburo autosigillante basata sull'avanzamento di quest'ultimo lungo il suo asse longitudinale. Si trattava di una sorta di revolver a pietra il cui tamburo andava ruotato manualmente per allineare di volta in volta una camera alla canna. Nel 1854 il problema dello sfogo dei gas venne ripreso in considerazione da William Greener che costruì alcuni prototipi di carabina in cui veniva eliminata la discontinuità tra canna e tamburo. Erano state ipotizzate poi diverse altre soluzioni, che prevedevano, a seconda dei casi, il movimento del tamburo o della canna; tuttavia, si era trattato di progettazioni complesse, di dubbio funzionamento e che non ebbero alcun successo. Il primo ad avere l’idea giusta fu un armaiolo nato in Westfalia, Henri Pieper, che dopo aver maturato una certa esperienza in Belgio aveva fondato a Herstal, vicino a Liegi, la ditta Henri & Nicolas Pieper. Costui, che già aveva brevettato una carabina a tamburo la cui canna poteva avanzare ed arretrare grazie ad una leva simile a quella delle armi Winchester, sigillando così la camera di scoppio, intuì che la soluzione stava nello sfruttare il bossolo che, attraversando tutto il tamburo, doveva penetrare nella canna. La cartuccia doveva quindi avere una palla affondata al di sotto del bordo del bossolo stesso e l’arma avrebbe dovuto avere il tamburo mobile, in modo da poter rimanere all’indietro durante la rotazione per poi avanzare fino ad introdurre l’estremità del bossolo nella canna un momento prima dello sparo. L’azione della palla avanzante e dei gas avrebbe fatto il resto. Pieper brevettò la sua idea nel 1886, depositando il disegno di una rivoltella che aveva anche un’altra caratteristica eccezionale: il tamburo che basculava lateralmente e consentiva l’espulsione simultanea di tutti i bossoli (per l’epoca, una novità assoluta o quasi). Ne risultò un’arma per certi versi geniale, ma estremamente complessa e di conseguenza inadatta all’impiego a scopo militare. Visto lo scarso successo riscosso, dopo quattro anni Pieper lasciò scadere il suo brevetto, lasciando campo libero ai due fratelli Nagant, che ripresero l’idea, semplificandola notevolmente, eliminando il tamburo ribaltabile, ed applicandola ad una struttura ormai ben consolidata, quella dei loro revolver. Pare che esista solo una rarissima serie, dedicata al mercato civile, con il tamburo avanzante e basculante. Il brevetto per la nuova arma (n° 220988 del 5 aprile del 1892, poi perfezionato con il n. 14010 del 1894) fu depositato da Leon Nagant. Il nuovo revolver poteva essere realizzato sia in singola che in doppia azione.

La produzione della nuova arma venne avviata per il mercato civile, in calibro 7,54; pare che un certo numero di queste rivoltelle sia stato acquistato dalla Romania, che le adottò come “modello 1895”. Tuttavia, contemporaneamente iniziò la “caccia” alle grandi commesse militari, e qui il discorso si fa complesso. Come tutti sanno, il revolver venne adottato dalla Russia, che all’epoca aveva in dotazione le Smith & Wesson Russian calibro .44 acquistate fra il 1871 ed il 1874: un’arma splendida, che però cominciava ad essere considerata troppo pesante ed ingombrante per gli ufficiali. Pertanto, da alcuni anni l’esercito zarista andava tenendo sotto stretta osservazione le nuove adozioni di armi corte da parte degli altri Paesi Europei, alla ricerca di una nuova ordinanza. Da questo punto di vista, la posizione della ditta dei fratelli Nagant era abbastanza privilegiata, dato che Leon aveva lavorato a lungo in stretta collaborazione con il colonnello Sergei Ivanovitch Mosin per progettare il nuovo fucile adottato dall’impero nel 1891 e destinato all’enorme successo che ben conosciamo. Le entrature ed i contatti della casa belga presso l’amministrazione militare russa erano quindi di alto livello e profondamente radicate. Questo potrebbe senza dubbio essere bastato a giustificare la scelta della nuova arma; per completezza di informazione va detto che alcuni hanno ipotizzato che la cosa sia stata dovuta anche ad alcuni passaggi di denaro non proprio trasparenti, ma niente del genere è mai stato dimostrato. Io non c’ero e comunque ritengo che oggi, a distanza di oltre un secolo, non sia questo l’aspetto più importante dell’argomento che stiamo trattando. Quello che è certo è che il revolver in .44, che sparava un proiettile lento e pesante, ma dotato di un ottimo potere d’arresto, venne sostituito da uno che utilizzava proiettili leggeri spinti a basse velocità, il che non si può considerare esattamente un progresso… In ogni caso, all’esercito russo la nuova arma venne proposta insieme ai modelli più tradizionali, in calibro 9,4 e 7,5 mm, già da tempo in produzione. La scelta cadde però sul progetto più recente, il modello 1895 a sette colpi nel calibro russo “tre linee” (7,62 mm) già adottato per il nuovo fucile Mosin-Nagant.

La fornitura iniziò nel 1898, per un totale di circa 20.000 esemplari venduti tutti dalla Nagant, ma prodotti sia dalla stessa ditta (i primissimi) che da Pieper; i fratelli Nagant spedivano in Russia normali modelli a doppia azione che, una volta a destinazione, venivano comunemente convertiti in singola. Si tratta di una modifica molto semplice, ottenibile senza alcuna lavorazione aggiuntiva attraverso la sostituzione di due soli pezzi (il cane e il blocchetto che scorre verticalmente per determinare l’avanzamento del tamburo) ed eseguita principalmente allo scopo di evitare lo “spreco” di munizioni che sarebbe stato determinato dalla possibilità di sparare velocemente: una vera ossessione delle alte gerarchie militari dell’Ottocento! Questa successione cronologica dei fatti porta a ritenere infondata la distinzione che moltissimi fanno fra i modelli a singola e doppia azione, in base alla quale i primi vengono spesso definiti “da truppa” ed i secondi “da ufficiali”. Secondo questa tesi, peraltro già accreditata all’inizio del Novecento, la Nagant avrebbe realizzato i modelli “da ufficiali” in doppia azione, mentre alla truppa sarebbe stata destinata la successiva produzione sul territorio russo. Tuttavia, i pezzi di produzione belga non sarebbero stati comunque sufficienti a coprire l’armamento degli ufficiali dello sterminato esercito zarista.

Intorno al 1899 ebbe inizio la produzione su licenza in territorio russo, presso l’arsenale di Tula. Nel 1900 i russi acquistarono dai Nagant il brevetto del congegno di rotazione, avanzamento e vincolo tamburo-canna; quindi nessun altro, neanche gli stessi fratelli belgi, poteva fabbricare un'arma che utilizzasse le caratteristiche meccaniche da loro ideate e registrate. Dato che la produzione in proprio della nuova ordinanza era già prevista sin dall’inizio, e che la Russia non disponeva di stabilimenti in grado di svolgere lavorazioni sofisticate, uno dei motivi della scelta della Nagant pare essere stata proprio la sua semplicità di realizzazione. Gli esemplari prodotti a Tula prima della rivoluzione erano marcati sul lato sinistro con una scritta in caratteri cirillici e l’anno di fabbricazione ed erano sin dall’origine a singola azione. Quelli successivi alla rivoluzione, realizzati quando l’attività produttiva riprese dopo l’interruzione subita nel 1917, furono invece in doppia azione, contrassegnati con nuovi marchi. La produzione continuò almeno fino al 1944/45 per le forniture militari ed anche oltre (1950) per le armi da tiro, con canna più lunga. Le Nagant zariste, sia di origine belga che russa, furono quasi tutte riconvertite in doppia azione e tenute in servizio insieme a quelle sovietiche. È nota anche una versione con canna e impugnatura accorciate, destinate alla polizia politica dell’URSS (NKVD).

Il numero dei pezzi realizzati fu elevatissimo, superiore ad 1.180.000, La produzione del periodo zarista, fino al 1917, avrebbe dovuto essere compresa fra i 10 e i 20.000 esemplari l’anno, ma fra il 1898/99 ed il 1902 ne vennero fabbricati 180.000. Al momento della Prima guerra Mondiale ne erano stati prodotti 436.210. Uno di essi sparò, insieme ad altre armi, il 17 luglio del 1918 per sterminare la famiglia dello Zar Nicola II nella strage di Ekaterimburg. I dati relativi all’attività sotto controllo sovietico sono molto meno precisi, o forse furono tenuti segreti. Inoltre, mentre la produzione imperiale proseguì fino al 1917 la numerazione iniziata in Belgio, quella sovietica ripartì da zero ogni anno, e per alcuni periodi si ignora completamente il numero dei revolver realizzati. Nel 1934 ci fu una pausa, ma l’anno successivo la produzione riprese; dopo il 1938 le matricole furono fatte precedere da lettere dell’alfabeto cirillico. Per coloro che amano i numeri, i dati disponibili sono riassunti nella seguente tabella:

 
   

Periodo

Numero di pezzi prodotti

Fino alla Prima Guerra Mondiale

436.210 (20.000 dal Belgio e 180.000 da Tula fra il 1898 ed il 1902)

1918

52.863

1919

79.060

1920

43.192

1921/1931

Ignoto

1932

82.368

1933

38.763

1934

Nessuna

1935

12.871

1936

oltre 31.599

1937

72.086

1938

98.647

1939/1940

Ignoto

1941

118.453

1942

15.485

1943/1945

Ignoto

 

 

La 1895, se da un lato rappresenta il culmine dell’evoluzione del progetto Nagant, dall’altro (e forse proprio per questo) era un’arma già datata sin dall’inizio, soprattutto per le modalità di caricamento/scaricamento (mediante sportellino e bacchetta d’espulsione), ormai troppo lente rispetto alle nuove soluzioni che si andavano affacciando sul mercato.

La meccanica è, tutto sommato, abbastanza semplice: lo spostamento in avanti del tamburo alla fine della sua rotazione viene determinato dalla spinta esercitata, sulla parte centrale del tamburo stesso, dal bocciolo, sagomato appositamente in modo da determinare questo effetto. L’avanzamento fa sì che il fondello della cartuccia perda l’appoggio posteriore sullo scudo di culatta. Per ovviare a questo inconveniente ed al tempo stesso completare la progressione del tamburo è stato previsto un elemento particolare, molto più robusto del bocciolo, che costituisce un vero e proprio otturatore che, sotto la spinta di un pezzo che viene spostato verso l’alto dal grilletto, si muove oscillando su un perno fissato al castello, determinando l’inserimento in canna del colletto della cartuccia, che vi penetra per 1,7 mm. L’elemento che funge da otturatore, che non tocca mai il tamburo perché svolge la propria azione esclusivamente attraverso il fondello del bossolo, è forato per consentire il passaggio del percussore. Quest’ultimo risulta particolarmente allungato per riuscire a raggiungere l’innesco della cartuccia anche in posizione avanzata. Dopo lo sparo, il tamburo viene riportato all’indietro da un’apposita molla inserita nel suo asse centrale. Il sistema è tutto qui, semplice ed affidabile, costituito da soli sei pezzi. L’elemento che scorre verso l’alto funge anche da sicura perché, se il grilletto non è premuto, si posiziona in modo tale da impedire al percussore di raggiungere l’innesco della cartuccia in camera. Per il resto, il meccanismo è quello ormai consolidato delle Nagant a partire dal modello 1878/86; anche lo smontaggio è identico, ma mancano le lettere di riferimento.

 
 

 

 
 

In rari casi, a causa di una grave corrosione dell’estremità posteriore della canna sono state riscontrate delle difficoltà nell’estrazione del bossolo esploso, che possono arrivare fino a bloccare il meccanismo fissando il tamburo alla canna. Ma se si eccettuano questi episodi (che riguardano comunque esemplari danneggiati o usurati), il revolver è sempre affidabile e preciso ed ebbe una grande notorietà, tanto che in Russia il termine “Nagant” viene impiegato genericamente per indicare qualunque arma a rotazione del tamburo.

Quando l’Unione Sovietica adottò la semiautomatica Tokarev TT33 la produzione di questi revolver non venne interrotta né rallentata, proseguendo anche durante tutta la Seconda Guerra Mondiale, dapprima a Tula e poi (a partire dal 1943 o – secondo altri – dal 1939) a Izhevsk. È segnalata anche una realizzazione nell’arsenale di Sestroryetsk. Pare che la Nagant, oltre ad essere economica da produrre, fosse apprezzata in modo particolare dai carristi, che da sempre necessitano di armi maneggevoli, adatte ad essere impiegate in spazi ristretti ed attraverso piccole feritoie. Inoltre, sembra che la forma a collo di bottiglia e l’enorme lunghezza del bossolo del 7,62 Tokarev fossero all’origine di inceppamenti tanto frequenti quanto indesiderati. Meglio quindi il vecchio revolver.

Come è già stato ricordato, il sistema a tenuta di gas rende l’arma dotabile di un silenziatore. Questo venne progettato nel 1929 e brevettato nel 1931 dai fratelli Mitin, indicato col nome di dispositivo Bramit ed usato dalla NKVD e poi da alcuni corpi speciali dell’esercito durante il secondo conflitto mondiale. Alcuni esemplari silenziati artigianalmente furono impiegati dai Vietcong durante la guerra del Vietnam.

Molte Nagant imperiali vennero assegnate al Granducato finlandese (che gli zar trattavano con occhio di riguardo quanto a forniture di armamenti) e furono poi utilizzate anche durante la Guerra Civile del 1918; alcune di queste armi riportano il punzone di proprietà dell’esercito della Finlandia (SA in un riquadro), ma sono abbastanza rare perché nella maggior parte dei casi queste rivoltelle vennero tenute dai reduci come preda bellica e non furono versate agli arsenali al termine del conflitto. Queste Nagant “predate” tornarono ad essere impiegate, insieme a quelle versate agli arsenali ed a quelle sovietiche catturate, durante la Guerra d’Inverno e nella Guerra di Continuazione, che videro quindi utilizzare la stessa arma (come molte altre) da entrambe le parti.

In contrasto con l’enorme successo riscosso in Russia, nel resto del mondo questa rivoltella non fu altrettanto apprezzata, anche perché ci si andava ormai orientando verso le pistole semiautomatiche. La ditta Nagant si rivolse progressivamente al settore delle automobili e finì per vendere i macchinari usati per la produzione della 1895 alla Polonia, dove a partire dal 1930 l’arma fu fabbricata col marchio Radom. Esiste anche una versione, prodotta negli USA, che fu ordinanza della Grecia (1912). Molte copie furono poi realizzare da ditte belghe e spagnole (in particolare, Francisco Arizmendi y Cia, che le commercializzò col nome di “Nagans”). In genere si trattava di armi a buon mercato che richiamavano molto esplicitamente la linea inconfondibile della 1895, ma spesso erano prive del sistema di avanzamento del tamburo e, quindi, della tenuta di gas. Si va da riproduzioni molto accurate a copie grossolane. In molte di esse la cartella sinistra non è asportabile e il castello è monoblocco, con i pezzi imperniati su viti. Il meccanismo è quasi sempre a doppia azione.

 La meccanica della Nagant verrà ripresa alla fine degli anni Cinquanta dalla TOZ  (Tulskii Oruzhenny Zavod, cioè proprio la Fabbrica d'Armi di Tula, che senza dubbio poteva vantare una certa esperienza …) che, applicandola sulla struttura dei revolver cecoslovacchi che stavano riscuotendo all’epoca un notevole successo agonistico a livello mondiale, realizzò la TOZ36, un’arma a sola singola azione e dotata di mire regolabili, cioè concepita espressamente per l’uso sportivo, che ottenne buoni risultati ma non ebbe un successo duraturo soprattutto per la difficile reperibilità delle munizioni impiegate.

 A questo punto, vediamo finalmente l’arma di questa scheda, con l’indispensabile premessa che i marchi ed i punzoni che riporta sono solo alcuni di quelli che si possono trovare sui vari esemplari di questo revolver, dato che nel lungo periodo della sua produzione ne sono stati usati moltissimi, che variavano con il tempo e le sedi di fabbricazione, per non parlare dei ricondizionamenti in arsenale. Per una trattazione completa di questo aspetto, si rimanda alla bibliografia.

Il lato sinistro è già stato mostrato in apertura; il destro è questo:

 

 
 

 

 
 

Come si può rilevare l’arma ha una linea molto personale e riconoscibile, che però risulta meno slanciata dei precedenti modelli della casa di Liegi. Ciò è dovuto al tamburo a 7 colpi e, soprattutto, alla necessità di alloggiare nel castello il dispositivo per l’avanzamento del cilindro. La lista metallica fissata da una vite che, partendo dalla guancetta, si dirige verso il tamburo è la molla che ha il compito di bloccare lo sportellino di caricamento in apertura o in chiusura.

 Questo esemplare è stato prodotto a Tula nel 1940 e infatti riporta sulla cartella il marchio utilizzato da questo arsenale dal 1928 al 1943:

 
 
 

 

 
 

In questa immagine si vedono invece il numero del Catalogo Nazionale, la matricola (in verticale, davanti al tamburo) e, sull’estremità anteriore del ponticello del grilletto, il punzone con la stella usato dall’Arsenale di Tula dopo il 1928 e che compare anche in altre parti dell’arma:

 
 
 

 

 
 

Un altro marchio di Tula (la “t” circoscritta) è visibile sul cane:

 
 
   
 

In questa immagine si può invece osservare un’ampia serie di punzoni:

 
 

 

 
 

nella quale possiamo riconoscere, oltre alla stella di Tula sul grilletto, la “K” circoscritta, che indica un livello di precisione accettabile, il marchio di accettazione degli ispettori governativi, e  un marchio di controllo qualità  che è ripetuto, in forma leggermente diversa, sull’estremità anteriore del ponticello. 

In questa foto è invece visibile la volata:

 
 
 

 

 
 

si vedono chiaramente la stella di Tula e la linea di fede per il centraggio del mirino. Questo è inserito a coda di rondine e, a seconda dei casi, può avere profili differenti. Nelle Nagant del Belgio era a quarto di cerchio, ma in questo modo si riscontrava una certa tendenza dell’arma ad impigliarsi in fase di estrazione. I russi lo sostituirono quindi con una seconda versione, a mezzo cerchio. Dopo la rivoluzione, i sovietici adottarono il terzo tipo di mirino, visibile nella foto, e modificarono in questo modo anche moltissimi dei precedenti revolver zaristi. I tre profili sono schematizzati nella figura sottostante.

 
 
 

                         

 
   

A livello della coccia si può apprezzare anche l’anello portacorreggiolo. In questa sede erano frequentemente impressi dei piccoli punzoni identificativi del reparto. Nelle armi russe la coccia era monopezzo, come in questo caso; in quelle prodotte in Belgio era invece divisa in due parti, ciascuna unita alla cartella del lato corrispondente e tenute insieme da incastri. È anche visibile la caratteristica configurazione a due binari determinata dal prolungamento della cartella di sinistra lungo tutta l’impugnatura.

 

 
 

 

 
 

Terminato l’esame esterno dell’arma, possiamo iniziare con le operazioni di smontaggio. Si comincia con l’estrarre dalla sua sede la bacchetta di espulsione dei bossoli esplosi. Allo scopo, bisogna farla ruotare in senso antiorario e poi tirarla in avanti. Nell’immagine è visibile la tacca, realizzata sulla bacchetta stessa, che ha lo scopo di impedirne i movimenti durante lo sparo accogliendo la molla montata sulla ghiera.

 
 
 

 

 
 

A questo punto, si fa ruotare la ghiera, con lo stesso movimento impiegato per portare la bacchetta in posizione di lavoro, fino a far coincidere le linee di fede impresse sul castello e sulla ghiera. Dall’immagine si vede che l’arma riporta i punzoni del Banco di Prova di Mellrichstadt, in Germania.

 
 
 

 

 
 

Infine, si sfila (tirandolo in avanti) il perno centrale del tamburo, si apre lo sportellino di caricamento e si fa uscire il tamburo dal lato destro dell’arma. Lo smontaggio da campo è terminato.

 
 
 

 

 
 

Il tamburo merita di essere esaminato con attenzione, perché presenta diverse caratteristiche interessanti. La sua faccia posteriore è abbastanza consueta, ma lungo il bordo è presente una serie di 7 tacche nelle quali si inserisce un apposito dente dello sportellino di caricamento che in questo modo impedisce la rotazione all’indietro del tamburo. Quando è aperto, lo sportellino svolge la stessa funzione per mezzo di un altro dente, più corto e situato a livello della cerniera, che si va ad inserire in un’altra serie di tacche, meno evidenti.

 
 
 

 

 
 

La faccia anteriore presenta invece delle particolarità molto più peculiari, non solo perché fra le camere, cifra per cifra, è impressa la matricola, ma soprattutto per la realizzazione dell’area “infossata” destinata ad accogliere l’estremità posteriore della canna quando il tamburo viene fatto avanzare.

 
 
 

 

 
 

Nell’immagine di destra è possibile vedere, nell’ordine 1) una munizione francese con la palla molto vicina al colletto del bossolo, 2) una munizione russa, con la palla affondata molto in profondità (invisibile nella foto), 3) una munizione Fiocchi e 4) il bossolo esploso (col colletto dilatato) di una munizione russa.

Per procedere con lo smontaggio è necessario utilizzare un cacciavite, con il quale rimuovere la vite inserita nella cartella di destra, dietro quella che blocca la molla dello sportellino:

 
 
 

 

 
 

In questo modo si libera la cartella di sinistra, che può essere separata dal resto dell’arma.

 
 
 

 

 
 

A questo punto si deve controllare la matricola stampigliata sulla faccia interna della cartella rimossa, facendo attenzione all’eventuale presenza di numeri cancellati con delle X; il loro eventuale riscontro significa che la cartella non è quella originale. La matricola è presente, con le ultime cifre, anche sulla parte delle guancette che risulta compresa fra i due “binari” dell’impugnatura e deve anch’essa corrispondere. A proposito delle guancette, vale la pena di ricordare che ne esistono di tre tipi: le prime Nagant, di produzione belga, le avevano in noce scuro, con uno zigrino molto fine; quelle successive, russe, avevano uno zigrino molto più grossolano ed erano in genere di legno chiaro, come la betulla; sugli esemplari riarsenalizzati sono infine state montate delle guancette in bachelite rossastra. In tutti i casi, quella di sinistra, insieme alla porzione centrale, può essere rimossa agendo sulle due viti visibili sulla faccia interna della cartella. La vite che tiene in posizione quella di destra è invece situata sotto la molla principale. 

La rimozione della cartella consente di esporre la meccanica:

 

 
 

 

 
 

Le due immagini permettono di apprezzare il movimento del pezzo con funzioni di otturatore. Si nota anche l’estrema lunghezza e la forma inconsueta del percussore, così realizzato per consentirgli di raggiungere il fondello della cartuccia in posizione avanzata. Il ponticello del grilletto è un pezzo separato dal fusto, fermato con una vite, e con la funzione di porre sotto carico la molla principale. La finitura può essere rustica, ma la costruzione è sempre accuratissima. La meccanica presenta aggiustaggi a mano, testimoniati a volte dal numero di matricola riportato sulla molla. Lo scatto in singola azione è molto duro, ma è pulito e non gratta. Pare comunque che gli esemplari realizzati in Belgio avessero una meccanica ancora migliore. 

          Le prime Nagant zariste avevano delle fondine in pelle, oggi molto rare. Ben più diffuse quelle in tela plastificata con cinghiette in pelle, come quella della foto qui sotto, che reca i marchi del 1963.

 

 
   
 

A questo punto, non resta che presentare l’esploso ed inserire la solita scheda tecnica:

 
 
 

 

Marca:

Arsenale di Tula

Modello:

Nagant 1895 (Revolver Sistemy Nagana Obrazets 1895 Goda)

Calibro:

7,62 Nagant (7,62x38)

Numero di colpi:

7

Lunghezza canna:

114 mm (4 righe destrorse)

Lunghezza complessiva:

234 mm

Peso scarica:

792 g

 
 
 

Ancora una cosa, per quelli che hanno avuto la pazienza di arrivare fino qui. La Nagant ebbe un piccolo ruolo anche nella storia del nostro Paese. Nella seconda metà degli anni Settanta, le brigate rosse la utilizzarono, silenziata, per compiere svariati atti terroristici, come assassinare l’avvocato Fulvio Croce e il giornalista Carlo Casalegno  e gambizzare i consiglieri Maurizio Puddu ed Antonio Cocozzello ed i dirigenti FIAT Franco Visca, Rinaldo Camaioni e Piero Osella. All’epoca ero molto giovane, ma mi interessavo già di armi e raccoglievo il materiale che trovavo sull’argomento. Nel preparare questa scheda, ho rinvenuto un ritaglio tratto dal quotidiano “LA STAMPA” del 1977. Ve lo propongo per due ragioni. La prima, perché è giusto ricordare coloro che furono vilmente attaccati per avere avuto il coraggio di sostenere le proprie ragioni, fino al punto di divenire vittime dei loro ideali. La seconda, perché mostra come, in un’epoca senza internet né le facilitazioni di ricerca immediata che questa offre, giornalisti non soffocati dal politicamente corretto e dalla ricerca del sensazionalismo avessero la capacità di reperire e fornire buone informazioni in poche righe. L’articolo è questo.

 
 
 

Bibliografia:

Articoli:

Vittorio Bobba; Revolver Nagant mod. 1887 svedese; Quaderni di Oplologia; 1997; 04; 31

Livio Pierallini; Steyr: avanti il tamburo; Diana Armi; 2006; 04; 156

Luciano Salvatici; La prima Nagant - la rivoltella belga modello 1878; Diana Armi; 1991; 07; 18

Luciano Salvatici; Nagant in 7,5 - le rivoltelle mod. 1887 svedese e mod. 1893 norvegese; Diana Armi; 1991; 08; 44

Luciano Salvatici; La Nagant per lo zar; Diana Armi; 1991; 09; 24

Luciano Salvatici; Le Nagant per il Lussemburgo; Diana Armi; 1992; 03; 4

Luciano Salvatici; Nagant, il modello serbo; Diana Armi; 1992; 04; 10

Vittorio Bobba; Nagant mod. 1887 svedese; Armi Magazine; 1995; 03; 76

Roberto Allara; Fin-de-siecle; Diana Armi; 2007; 07; 100

Galdino Gallini; TOZ 36 calibro 7,62 Nagant; Armi Magazine; 1998; 02; 40

Luciano Salvatici; Nagant sì o no - esemplari veri e falsi di una celebre rivoltella; Diana Armi; 2001; 07; 98

Sergio Lorvik; Nagant mod. 1895; Armi Magazine; 2001; 12; 80

 

Libri:

Enrico L. Appiano – Revolver e pistole automatiche – EPLI, Curno (Bg), 1976,  pag 176

Gerhard Wirnsberger – R. A. Steindler; The Standard Directory of Proof Marks; Blacksmith Corporation Publishers; pp. 159-163

Gene Gangarosa jr.; Spanish Handguns; Stoeger Publishing Company, Accokeek, Maryland, 2001, p 111

Ian V. Hoogs e John Weeks – Armi militari portatili del XX secolo – De Vecchi Editore, Milano, 1978, pag. 52

 

Siti Internet:

http://www.earmi.it/armi/nagant/nagant.htm

http://www.reocities.com/Pentagon/Bunker/4064/PersCollection/M1895page.html

http://www.littlegun.be/arme belge/fusils reglementaires/1 1877 pistolet nagant gb.htm

http://www.littlegun.be/arme belge/artisans identifies nagant/a nagant gb.htm